lunedì 8 novembre 2021

SENTENZE DI OTTEMPERANZA: Sospensione delle azioni esecutive nei confronti degli Enti del Servizio Sanitario. Chi pagherà gli interessi?

 



La sospensione dell’azione esecutiva nel processo amministrativo disposta dall’art. 117, comma 4, D.L. 19 maggio 2020 n. 34, comporta un notevole aumento degli interessi legali e moratori.   

Il Comma 4 dell’art. 117, del D.L. 19 maggio 2020 n. 34, testualmente sancisce: “Al fine di far fronte alle esigenze straordinarie ed urgenti derivanti dalla diffusione del COVID-19 nonché per assicurare al Servizio sanitario nazionale la liquidità necessaria allo svolgimento delle attività legate alla citata emergenza, compreso un tempestivo pagamento dei debiti commerciali, nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni agli enti del proprio Servizio sanitario regionale effettuati prima della data di entrata in vigore del presente provvedimento non producono effetti dalla suddetta data e non vincolano gli enti del Servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per le finalità dei predetti enti legate alla gestione dell'emergenza sanitaria e al pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo. Le disposizioni del presente comma si applicano fino al 31 dicembre 2021.”

Alla luce delle disposizioni normative e delle pronunce intervenute, i Commissari ad acta delegati dal Dipartimento Tutela della Salute della Regione Calabria a seguito del deposito dell’istanza ex art.114 comma 7, c.p.a., con la quale si richiedevano chiarimenti ai TAR competenti, in ordine alle modalità di esecuzione del giudicato a fronte dell’introduzione del richiamato art.117, comma 4, D.L. 34/2020.

Il Tribunale Amministrativo della Calabria - Sezione di Catanzaro – con due distinte ordinanze: la 905 e la 906 depositate in data 5/5/2021, ha disposto che: “Si debba dare al Commissario ad acta l’indicazione di non insediarsi e di astenersi temporaneamente dal compiere attività esecutiva, salva la riattivazione automatica delle proprie funzioni dopo la scadenza del termine legislativo fissato alla data del 31 dicembre 2021, salvo ulteriore proroga di quest’ultimo” .

A seguito delle disposizioni dettate dal TAR della Calabria, i Commissari ad acta delegati, si sono astenuti dal procedere, rimandando le esecuzioni a gennaio 2022, salvo ulteriore proroga.

Tale provvedimento, ha determinato di conseguenza il blocco dei pagamenti alle Ditte fornitrici di beni e servizi, alle quali dovrà essere corrisposto un ulteriore periodo d’interessi legali e moratori. A questo punto la domanda che ci poniamo è questa: Su chi graveranno gli oneri dell’aumento degli interessi? Si potranno calcolare e liquidare utilizzando i capitoli delle ASL senza che ci sia una disposizione superiore? Oppure serve un dispositivo governativo che autorizzi le ASL a impegnare maggiori risorse per il pagamento delle fatture?

I dubbi ci sono e viste le condizioni economiche in cui versa la sanità, tutto lascia presagire che ci possa essere qualche intoppo.

Se il Legislatore avesse tenuto in considerazione il danno economico per le Aziende Sanitarie, prima di emanare un provvedimento sprovveduto, sicuramente si sarebbero potuti risparmiare milioni di euro d’interessi.   

Grenn Pass: Veicolo d’infezione

 



Il COVID-19 utilizza i vaccinati con green pass per circolare

  Non serve essere medici oppure esperti in virologia per comprendere che in Italia le precauzioni per frenare la diffusione del virus sono totalmente sbagliate e di conseguenza inefficaci. Il Governo dovrebbe sostituire il Cts composto per la maggior parte da medici, con altrettanti Ingegneri dei trasporti ed Esperti in statistica inferenziale, cioè, quella scienza che, anche avvalendosi di metodi probabilistici, permette di trarre conclusioni generali dall’esame di un campione, che, oggettivamente, in questo caso sarebbero più attendibili delle teorie mediche scientifiche divulgate dai medici pro vax, i quali, in questo periodo passano più tempo negli studi televisivi piuttosto che negli ospedali.

  La contraddizione degli stessi esperti del Cts e degli showdoctor, i quali sostengono a onor del vero che i vaccinati possono infettarsi e infettare allo stesso modo dei non vaccinati (no vax), dovrebbe far riflette molto sulla scellerata decisione di obbligare tutti i lavoratori a munirsi di un Green Pass per accedere ai luoghi di lavoro. Ed è proprio questo strumento (il Green Pass) che sta contribuendo alla diffusione del virus, poiché, essendo il lasciapassare verde, un documento amministrativo e non un presidio medico, è ovvio che il COVID-19 sia diffuso maggiormente dai vaccinati, sia nei luoghi di lavoro, sia sui mezzi di trasporto. Le comunicazioni che trasmettono i mass media sono totalmente errate e forvianti. Il messaggio da divulgare dovrebbe essere bastato su dati certi e non su supposizioni faziose che vanno nella direzione di gonfiare i dati epidemiologici a favore delle case farmaceutiche. Abbiamo avuto la conferma della speculazione economica che il Governo per il tramite del suo rappresentante Domenico Arcuri ha messo in atto con gli appalti di fornitura delle mascherine e figuriamoci se non ci sono altri intrecci affaristici tra alcuni addetti ai lavori in seno al Governo e le case farmaceutiche. Sarebbe veramente un fatto più unico che raro se col tempo non uscissero altri scandali.

 Fermo restando il fatto indubbio che stiamo vivendo un evento pandemico, bisogna stigmatizzare il comportamento del Governo che su indicazione del Cts (a mio parere, notevolmente incompetente) sta percorrendo la strada sbagliata e, la perseveranza nel voler mantenere in vita il Green Pass, piuttosto che prevedere sistemi e metodi sanitari di prevenzione della diffusione del virus, porterà a una più lunga e complicata risoluzione del problema e all’aumento sempre maggiore del danno economico alle imprese e ai lavoratori no vax che devono sopportare l’onere di doversi pagare i tamponi per accedere nei luoghi di lavoro. Con l’unico vantaggio indiscutibile che in no vax tamponati sono le uniche persone che non possono trasmettere il virus, i quali sono anche gli unici a possedere un Green Pass, sulla scorta di un esame clinico effettuato ogni 48 ore che rileva l’eventuale presenza del virus in tempi decisamente reali, contrariamente a chi è vaccinato e ovviamente in possesso del Green Pass può senza alcuna restrizione circolare liberamente in ogni luogo anche se portatore di COVID-19.  

LE STRAMPALATE TEORIE DI RICCIARDI SUI NO VAX

 

Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute Speranza, critica i no vax, secondo il suo punto di vista.

Onestamente non possiamo addossare tutte le colpe al Ministro della salute Roberto Speranza per le restrizioni che sanno tanto di regime, imposte dal Governo, se il consulente personale del Ministro della salute è Walter Ricciardi.

  Il biasimo ai no vax, di Walter Ricciardi, pubblicamente esternato dai microfoni del Corriere della Sera, si basa sul delirio d’onnipotenza che l’ha sempre caratterizzato. In effetti, la sua testardaggine lo ha portato nel gennaio 2019 ha dare le dimissioni da presidente dell'Istituto superiore di sanità, in polemica con la presunta scarsa collaborazione instaurata a suo dire dal governo Conte I° e con le posizioni assunte da esponenti dell'esecutivo su questioni di sanità e, in particolare,  su vaccinitermovalorizzatori, rapporto tra immigrazione e diffusione di malattie, da lui definite «ascientifiche e antiscientifiche».

  Secondo Ricciardi chi si oppone al vaccino contro il Covid ha sottovalutato, o non ha capito, il rischio più grande dovuto alla variante Delta. Dimenticando prima di tutto che la c.d. vaccinazione, per determinate categorie sociali non è obbligatoria e dunque, le persone che decidono liberamente di non vaccinarsi non fanno altro che utilizzare uno strumento legislativo dello Stato che glielo permette.

 Secondo la teoria di Ricciardi la circolazione del virus resta alta a casa di colo che non si vaccinano. Secondo lui, queste persone non hanno compreso i rischi della variante Delta, “ che ha cambiato radicalmente la dinamica dell’epidemia”. Sembra proprio che Ricciardi, invece, sia ossessionato dalla Variante Delta, l’unica dalla quale bisognerebbe difendersi vaccinandosi, dimenticando che dati alla mano sembra che i vaccini non siano efficaci come inizialmente si pensava neanche per il COVI-19 originario, figuriamoci per le varianti.        

  Il consulente del ministro Speranza ha poi aggiunto che questa mutazione (riferendosi sempre alla Variante Delta) ha fatto crescere i contagi, rendendo così necessarie delle misure come il Green pass oltre al vaccino. Sembra proprio che per Ricciardi esiste solo un problema Variante Delta e non un’emergenza COVI-19.

 Per questa ragione l’esperto dà per certo un aumento dei casi, “ma non tale da mettere sotto scacco gli ospedali. Non credo che torneremo agli stessi livelli di emergenza”. Dopodiché ha consigliato di vaccinarsi contro l’influenza, “che quest’anno si annuncia più aggressiva”.

  C’è da rimanere basiti dalle teorie strampalate di Ricciardi, almeno che non lo si prenda in considerazione più come attore che come medico. D'altronde, è sicuramente più attendibile e apprezzabile come attore, visti i successi ottenuti sul set.   

  La sua carriera di attore inizia negli anni sessanta, da bambino, nella serie televisiva I ragazzi di padre Tobia (interpretava Cucciolo) per proseguire in numerosi sceneggiati televisivi (Dramma d'amoreUn eroe del nostro tempoNostra madreLa freccia nel fianco) e prosegue per tutti gli anni ottanta con ruoli di primo piano a fianco di Giuliana De SioAlida ValliMichele PlacidoStefania Sandrelli e Maria Schneider[29].

  Tra i suoi ruoli più interessanti quelli nel film Io sono mia (1978) di Sofia ScandurraL'ultimo guappo (1978), Il mammasantissima e Napoli... la camorra sfida, la città risponde (1979) diretti da Alfonso Brescia e interpretati da Mario Merola.

  In merito alla sua carriera cinematografica, si possono soltanto esprimere apprezzamenti, ma in merito alle sue teorie mediche scientifiche, credo proprio che si possano definire semplicemente strampalate!!     

Green pass: violazione del principio di uguaglianza

 

                                                                  Prof.ssa Capolupo Carmela, Unina

Avere paura è un diritto, combattere la paura è un dovere.

  di Capolupo Carmela 

      Il decreto legge 22 aprile 2021, n.52 introduce nel nostro ordinamento la certificazione verde che attesta una situazione di fatto, corrispondente alla condizione di vaccinato, di guarito dal covid o di possessore dell’esito negativo di un tampone, con validità limitata a 48 ore.

  Al rilascio del green pass, in un primo momento, era subordinato l’accesso ad una serie di luoghi aperti al pubblico e, successivamente, con ulteriori interventi normativi che ne hanno esteso la portata, l’esplicazione di alcune di attività, nonché l’esercizio di una serie di diritti fondamentali, dal diritto allo studio, al diritto di svolgere la propria attività lavorativa.

  Ai fini del corretto inquadramento dei nodi problematici sollevati dal contenuto prescrittivo della certificazione verde è opportuno muovere da due premesse.

  In primis, ad oggi il legislatore sembrerebbe essersi ben guardato dall’introdurre un obbligo vaccinale generalizzato, essendosi limitato ad alcune categorie professionali. Per quanto banale possa apparire, è bene tenere a mente che, in assenza di un obbligo, la scelta di non vaccinarsi corrisponde all’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito: il diritto di correre il rischio della malattia. Non c’è solidarietà che possa invocarsi a sostegno di una qualche forma di imposizione. Tanto è in punto di diritto, che piaccia o meno.

  La seconda premessa coinvolge il sistema delle misure sanzionatorie, nella eventualità che si pervenisse all’introduzione dell’obbligo vaccinale. Secondo una opinione largamente condivisa e confermata dalla esperienza delle passate campagne vaccinali, il sistema sanzionatorio per l’inosservanza dell’obbligo non può risolversi in misure limitative dei diritti fondamentali.

  In proposito, giova ricordare che, già a partire dalla legge 24 novembre 1981, n.689, veniva introdotto un regime di depenalizzazione delle sanzioni previste per l’inadempimento degli obblighi vaccinali; inoltre, fino al 1999, l’accesso alla scuola dell’obbligo per i nuovi nati, ad eccezione degli asili nido, era subordinato alla somministrazione di quattro vaccinazioni di carattere generale il cui regime muta radicalmente con il DPR 26 gennaio 1999, n.355, che, pur lasciando inalterato il sistema delle sanzioni pecuniarie, peraltro irrisorie, consente l’accesso alla scuola dell’obbligo anche nei casi di omessa presentazione della certificazione vaccinale. Si deve a ciò aggiungere che la normativa allora vigente in materia di controlli e sanzioni, di fatto, non trovava più applicazione. Seguono lo stesso orientamento le misure del piano vaccinale 2005-2007 che consentirono ad alcune regioni di sospendere gli obblighi vaccinali.

  Proprio sulla base della sostanziale attenuazione degli obblighi vaccinali registrata negli anni precedenti, con il decreto Lorenzin si assiste a una inversione di rotta che però non interferisce con il sistema sanzionatorio in maniera particolarmente dirompente.

  Come si è avuto modo di evidenziare, la Corte costituzionale, pur non censurando la disciplina del decreto, non esita ad esprimersi a favore della progressiva riduzione dell’imposizione, un meccanismo che la legge prevede limitatamente ad alcune vaccinazioni, auspicandone l’estensione anche alle altre.

  Alla luce delle considerazioni che precedono, la misura del green pass sembra abnorme: all’assenza di un obbligo vaccinale corrisponde un regime sanzionatorio che, fuori dalla cornice delle garanzie apprestate dall’art.32 Cost., non solo impatta sui diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, ma è ben più drastico di quanto sarebbe consentito fare a una legge che introducesse l’obbligo vaccinale entro i confini dell’art.32 Cost.

  Obbligo vaccinale e green passsimul stabunt aut simul cadent. Assenza dell’obbligo vaccinale e green pass rappresentano una contraddizione in termini: se non c’è obbligo non può esserci sanzione e se c’è sanzione vuol dire che c’è un obbligo dissimulato, surrettiziamente introdotto sulla base di una presunzione di contagiosità del non vaccinato, peraltro smentita dalla stessa scienza, dal momento che le condizioni certificate dal green pass non costituirebbero una prova scientifica della non contagiosità.

  Ne consegue un problema ulteriore che si incentra sulla irragionevole equiparazione dei presupposti cui è subordinato il rilascio del green pass. La condizione delle persone vaccinate, quella delle persone sottoposte al tampone con esito negativo e quella delle persone guarite dal covid, non sono coerentemente assimilabili rispetto alla finalità dichiarata della protezione e tutela della salute pubblica, non lo sono per esplicita ammissione della scienza.

  Ma la violazione del principio di uguaglianza non si limita all’imperativo della razionalità che impone al legislatore di disciplinare uniformemente situazioni uguali e di diversificare per situazioni diverse. L’estensione del green pass all’accesso nelle scuole, nelle università, nei posti di lavoro chiama in campo valori costituzionali come il diritto allo studio che l’uguaglianza sostanziale garantisce ai capaci e meritevoli privi di mezzi. L’onerosità del tampone suggella definitivamente il green pass come una misura irragionevole rispetto alle finalità che si propone e vessatoria per quanti, nell’esercizio di un diritto costituzionalmente tutelato, scelgono di non vaccinarsi o che, non essendo nelle condizioni di sostenere il costo dei tamponi, si ritrovano nella impossibilità di autodeterminarsi.

  Altra questione ugualmente controversa attiene al trattamento dei dati personali, alla luce dei rilievi critici formulati dal Garante sin dall’introduzione del green pass nella sua versione soft, all’indomani dell’approvazione del decreto legge 22 aprile 2021, n.52 e, da ultimo, con il parere reso sul disegno di legge di conversione del decreto legge 21 settembre 2021, n.127, destinata a riflettersi sul regime dei controlli che, contrariamente alle rassicurazioni del Ministro della salute, di fatto si esercitano attraverso un potere di polizia diffuso in capo a soggetti privi di qualsivoglia qualifica e, per di più, non preventivamente identificabili.

  La protezione dei dati si rivela un parametro significativo del bilanciamento, potendo opporre un argine al rischio che la certificazione verde si trasformi in uno strumento di controllo di massa, interferendo altresì con il principio di autodeterminazione in campo sanitario; ma la tutela della privacy gioca un ruolo importante anche per la sua potenziale incidenza sulla propensione delle persone ad accettare la limitazione: quanto più contenuto è l’impatto sulla privacy, tanto più sostenibile risulta l’equilibrio tra la finalità della tutela della salute e le limitazioni imposte con il green pass. Proporzionalità e non discriminazione sono presupposti imprescindibili di una soluzione accettabile, ovvero di un equilibrio sostenibile nella misura in cui la promozione della libertà avrebbe reso sopportabile il sacrificio da patire, sul modello del green pass introdotto dalla normativa europea , con il limitato scopo di promuovere la circolazione tra gli stati membri attraverso la certificazione delle vaccinazioni nazionali.

  Come è stato evidenziato, la differenza tra la soluzione legislativa adottata in Italia e il modello europeo assumerebbe rilievo giuridico sul piano teorico e applicativo: la certificazione europea si limita a una funzione informativa finalizzata ad agevolare la circolazione nei paesi UE, evitando la quarantena, dunque una natura meramente informativa, laddove nella legislazione italiana le conseguenze del green pass assumono carattere normativo-prescrittivo. Muovendo da questa premessa si è puntato l’indice sulla legislazione italiana, anche per la presunta violazione della normativa europea, con specifico riferimento al Regolamento UE nella parte in cui, al punto 6 del considerando, si afferma la necessità che «tali limitazioni siano applicate conformemente ai principi generali del diritto dell’Unione, segnatamente la proporzionalità e la non discriminazione». Che tutto ciò possa poi condurre alla conseguenza estrema della disapplicazione da parte dei giudici della legge italiana appare difficilmente sostenibile, se non altro per la debole prescrittività di cui sono dotati i «considerando» nell’ambito degli atti normativi UE.

 Nel corso del mese di gennaio 2021, l’Assemblea parlamentare del Consiglio di Europa, richiamandosi all’art.9 della CEDU e alla Convenzione di Oviedo, ha adottato una risoluzione che, tra le altre cose, invita gli Stati membri a garantire una corretta informazione, affinché i cittadini siano messi al corrente della non obbligatorietà del vaccino e nessuna pressione sia esercitata se non si desidera vaccinarsi, nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato o per non volersi vaccinare, siano distribuite informazioni trasparenti sulla sicurezza e sui possibili effetti collaterali dei vaccini, sia garantita una informazione trasparente sul contenuto dei contratti con i produttori dei vaccini al fine di renderli disponibili al controllo parlamentare e pubblico. A fronte delle indicazioni del Consiglio, per quanto non vincolanti per gli Stati membri, i fatti hanno preso tutt’altra direzione.

  A provarlo è il clima di lacerazione sociale in cui si contrappongono due opposte fazioni, un clima in cui anche la più elementare e spontanea aspirazione a comprendere qualcosa in più, a manifestare un dubbio, sembra essere stata letteralmente travolta da una ondata di irrazionalità che infuria alla ricerca di miscredenti da redimere o di responsabili da stigmatizzare pubblicamente.

  Descrive bene questo scenario chi recentemente poneva l’accento sul venir meno dei principi della logica aristotelica, talvolta anche tra gli interlocutori più avveduti: è come se difronte alla incapacità di condurre un ragionamento alla stregua di quei principi, il cervello andasse in arresto, cedendo il passo a reazioni di un populismo quasi astioso, nella affannosa ricerca di un responsabile.

  E allora è doveroso chiedersi e provare a capire cosa non ha funzionato, muovendo proprio dalla lettura della risoluzione del Consiglio d’Europa che chiama in campo il ruolo delle istituzioni e, segnatamente, il ruolo della politica nel suo controverso rapporto con la scienza.

  Non v’è dubbio che il buon esito della campagna vaccinale, al pari di tutte le misure di contenimento, sia largamente condizionato dal sentimento di appartenenza a una comunità, ovvero dalla percezione che ognuno debba rinunciare a qualcosa per il bene di tutti; si allude a quel senso di condivisione che, per quanto connaturale possa essere alla socialità dell’indole umana, deve potersi alimentare della fiducia che le istituzioni dovrebbero infondere e che ad esse ritornerebbe in termini di legittimazione, in un circolo virtuoso in cui, tra l’altro, nessuno spazio sarebbe concesso a quanti, strumentalizzando la paura, cercassero facili consensi.

  Se è vero che in campo sanitario la scelta politica è guidata dal faro della scienza, tanto più nella gestione di una emergenza, non per questo la scienza si pone come unico parametro di legittimità della produzione normativa. La politicità delle scelte esige che il dato scientifico sia raccordato con una serie di variabili di contesto e con le istanze sociali che non possono essere ignorate o, peggio ancora, deplorate e censurate. Quando la decisione politica è condizionata dalla scienza vanno in tensione le garanzie giurisdizionali dei diritti, dunque diventa cruciale che gli obiettivi posti dalla scienza si realizzino nella rigorosa osservanza dei valori costituzionali.

  È anche questo il terreno sul quale la partita della lotta al virus si vince o si perde.

Se la scienza non è democratica, a maggior ragione, lo devono essere i processi decisionali, puntando sulla trasparenza, sulla adeguatezza delle informazioni, sulla conoscenza delle risultanze scientifiche, sulla garanzia del controllo sulle istituzioni dalle quali si acquisiscono i dati scientifici.

  E in fatto di trasparenza a dir poco emblematica è la vicenda dei rapporti contrattuali intercorsi con le case farmaceutiche impegnate nella produzione del vaccino, promesso da Ursula von der Leyen come il «bene comune universale». Risale a metà novembre del 2020 la prima richiesta inoltrata presso il Ministero nella forma dell’accesso civico, volta alla acquisizione dei documenti contrattuali. Si deve attendere fino al 25 febbraio 2021 per leggere la risposta del Commissario straordinario in cui, tra le altre cose, di legge: «devo mio malgrado rappresentarle che gli accordi sottoscritti con le case farmaceutiche per la fornitura di vaccini sono di fatto secretati, e questo vale tanto per gli accordi preliminari conclusi dalla Commissione europea quanto per i conseguenti ordini di acquisto attivati dai singoli Stati dell’Ue, tra cui l’Italia […]Questi contratti sono tutelati per motivi di riservatezza e tale tutela si giustifica per la natura altamente competitiva di questo mercato globale […] la segretezza è motivata dall’esigenza di tutelare i negoziati sensibili e le informazioni commerciali, specie le informazioni finanziarie e i piani di sviluppo e produzione […]Pertanto devo esprimere formale diniego alla richiesta»

  Una politica che si ritrae dalla sua funzione decisionale, dissolvendosi nel dato scientifico, alimenta la divisione sociale per la naturale tendenza a confinare una serie di istanze sociali, culturali e personali nell’alveo dell’irrazionalità e, quindi, in una condizione che spesso è percepita  quasi come deplorevole.

  Il rischio è quello di generare una sorta di dissonanza cognitiva, per cui il vaccino diventa un atto di fede sul quale non è dato esprimere dubbi o nutrire timori, senza divenire una minaccia per la società, contro la quale si raccoglie facilmente un consenso trasversale, impermeabile a qualsivoglia richiesta di ascolto.

  Tutto ciò, non solo non giova al successo della lotta alla pandemia, ma solleva più di un interrogativo sulla tenuta di quei principi costituzionali la cui affermazione intendeva segnare la definitiva rottura con il passato. Primo tra tutti, il principio pluralista che restituisce un modello di società basato sul valore della diversità che sta poi alla politica ricondurre ad unità, nel rispetto delle posizioni di tutti. Un modello di società in cui quel senso di appartenenza a una comunità non si esaurisce nel richiedere a ciascuno un sacrificio per il bene di tutti, imponendo, altresì, che ci si faccia carico dei timori e delle incertezze di ciascuno, anche di fronte alla scelta tra il rischio del vaccino e quello della malattia. Avere paura è un diritto, combattere la paura è un dovere al cui adempimento non giova la campagna di stigmatizzazione e nemmeno giovano meccanismi discriminatori, giuridicamente insostenibili, come i passaporti vaccinali.

  A questo punto sarebbe auspicabile che il Governo imponesse l’obbligo vaccinale, misurandosi coraggiosamente con gli steccati che la Carta costituzionale erige a fronte di una autorizzazione non definitiva alla commercializzazione, con tutti i problemi che ne scaturiscono, a cominciare dalla necessità di prevedere uno scudo penale per i membri del governo, così come è stato disposto per i produttori del vaccino e per i medici vaccinatori.

  Sul piano delle relazioni tra gli organi costituzionali, il modello di società che ci consegna la Carta costituzionale si riflette nella centralità del ruolo affidato al Parlamento, in quanto organo rappresentativo della complessità sociale.

  La crisi del Parlamento non si è certo manifestata con la pandemia, ma è comprensibile che la gestione dell’emergenza sia apparsa come un one man show, il cui unico protagonista non è stato nemmeno il Governo, ma il Presidente del Consiglio, con un Parlamento ridotto al ruolo di ufficio preposto alla conversione dei decreti legge.

  La storia ci offre un prezioso insegnamento sulle incognite che possono stagliarsi all’orizzonte quando le assemblee rappresentative vengono estromesse dai processi della decisione politica, tanto più quando si tratta di prendersi cura dei diritti fondamentali.

«Se non si pone un freno agli sconfinamenti del Governo sul Parlamento, la pandemia ci lascerà in eredità una democrazia moribonda: adesso, quando il destino impone “tempo per riflettere”, ecco, pensiamo alla Repubblica che vogliamo».

  E allora il Parlamento deve essere a viva voce chiamato in campo, affinché sia scongiurato il rischio di assuefazione alle regole dell’emergenza: la pandemia passerà, ma se ad essa dovessero sopravvivere le regole, alla emergenza sanitaria subentrerà l’emergenza democratica.

  Ulisse per salvarsi dal seducente canto delle sirene si fece legare all’albero della nave, sapendo di correre un rischio. Affiora il ricordo delle parole pronunciate più di un secolo fa dal senatore americano John Potter Stockton: «le Costituzioni sono catene con le quali gli uomini legano sé stessi nei momenti di lucidità, per non morire di mano suicida nei giorni della follia».

"NO PONTE": UN'ONDA UMANA IMMENSA, PROTESTA CONTRO LA REALIZAZIONE DI UN'OPERA INUTILE E DANNOSA

Soldi pubblici buttati a mare.      A Messina ha sfilato il fronte del "NO al Ponte" sullo Stretto, con un corteo di migliaia di ...